Hamid Misk, l'internazionalità della cultura.


Hamid Misk, l'internazionalità della cultura.


Hamid Misk è un poeta e scrittore arrivato dal Marocco negli anni '80 che si è trovato a ricominciare la sua vita da capo nel BelPaese con la forza della speranza e dell'intraprendenza.
Laureato in Scienze Politiche all’Università La Sapienza di Roma ha ottenuto un Dottorato di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali e diversi altri Diplomi in Mediazione culturale e linguistica. Ha già pubblicato diversi libri e realizzato traduzioni da e per varie Lingue che parla con disinvoltura: dal Francese all'Arabo, dall'Inglese allo Spagnolo, passando per l'Italiano, naturalmente. I suoi libri pubblicati: "Il Colonialismo francese e spagnolo in Marocco" (Edizioni Associate) nel 2006, saggio con traduzioni di testi e documenti in Lingua Araba, "Ogni volta che mi sussurrarono le stelle" (Edizioni Associate) nel 2007, raccolta di poesie, "Un viaggio all’altra Mecca" (Edizioni Associate) nel 2010, romanzo e, infine, "L'albergo del popolo" (Libellula Edizioni) nel 2012, romanzo che ha uno sfondo auto-biografico interessante poiché racconta la storia di un immigrato che deve superare molti ostacoli prima di riuscire ad affermarsi nella società italiana.
Attualmente Hamid lavora come Interprete e Professore di Lingua araba e di Storia delle Relazioni Internazionali. Quel che colpisce è, senza ombra di dubbio, la sua preparazione culturale e professionale, la sua intelligenza e spigliatezza, la sua multietnicità che raccoglie e racchiude diverse culture ed esperienze, tutte interessantissime.
Ma parliamone direttamente con lui.
Ciao Hamid,
grazie per aver accettato questa breve intervista per "Il Tizianario". Comincio col congratularmi per la tua preparazione professionale e per la tua bravura perché non è da tutti riuscire ad affermarsi in modo così completo e, allo stesso tempo, interessante e intraprendente come te. Come hai fatto?
RISPOSTA:
Il segreto di tanta cultura credo sia stato l’amore per la conoscenza e la mia costanza  nel voler imparare e soprattutto di non limitarmi ad un solo diploma e campo di conoscenza. Quando ero bambino, mio padre mi esortava sempre a studiare. Mi diceva sempre che avendo perso il papà allorquando era in tenera età, questo fatto drammatico non gli aveva consentito di rendere la sua sorte ancora migliore. Quindi, da orfano è stato costretto a lavorare per guadagnarsi da vivere e sfamare i suoi fratelli e la mamma. Quindi mi diceva sempre, tu non hai bisogno di lavorare, mi basti che studi, così avrai una vita migliore della mia…Questo pensiero mi aveva accompagnato fino ad oggi. E se ho raggiunto quello che ho raggiunto è stato sempre grazie a mio padre e mia madre. Ma in Italia, ho dovuto anche lavorare per pagarmi gli studi. Lavorare saltuariamente mi aveva formato e consentito di conoscere tante cose e di fare tante amicizie. Noto, però, che chi è venuto da fuori per lavorare ha avuto una vita più facile della mia, Vi lascio immaginare tutti i diplomi che ho avuto, quante fatiche e quanti sacrifici m’avevano richiesto. Non era affatto facile…


Quando sei partito dal Marocco, hai lasciato la tua famiglia per avventurarti in un Paese straniero?
RISPOSTA:
Sì, Ero quasi un bambino…Mia madre e mio padre si misero a piangere alla stazione del treno di Fez. Me lo ricordo come se fosse ieri. Non so quanto dolore li ha procurato quella mia decisione. Ma fortunatamente non era cosi tragica la cosa. Sapevano che sarei ritornato a trovarli. Ad ogni modo di questi fatti ne parlo nel mio romanzo “ Un viaggio all’altra Mecca” vendibile on line, presso Edizioni associate.



Cosa pensavi dell'Italia e degli italiani quando sei arrivato e cosa ne pensi ora che ti sei perfettamente integrato nella nostra società.
RISPOSTA:
Certo guardare una cosa da fuori non è come guardarla da dentro. Era un incantesimo quando sono arrivato. Ero innamorato dell’Italia, con tutte le difficoltà e le sfide che si presentavano davanti al mio cammino. Pensavo naturalmente bene, sennò non sarei mai venuto qui. Il problema però per un italiano, e ancora peggio, per un immigrato rimane sempre il lavoro. L’Italia offre sempre meno opportunità e futuro ai giovani e questo è inaccettabile, direi perfino intollerabile. Un paese che non offre più futuro ai suoi giovani è un paese finito, squallido…. L’Italia deve risvegliarsi dal suo lungo addormentamento e deve ritornare ad essere un paese creativo e ammirevole.



Hai mai avuto problemi con gli italiani? Pregiudizi, razzismo, classismo, difficoltà a laurearti nel nostro Paese o a imporre la tua cultura e a farla rispettare per ciò che è?
RISPOSTA:
I problemi non mancano. Guai se uno dice che non ci sono. Sarebbe ipocrita. Il problema in Italia è che gli stranieri regolari, per non parlare di quelli naturalizzati che sono cittadini italiani,  vengono visti ancora come cittadini di serie B. Una parte degli italiani non li accetta come cittadini alla pari. E direi la vicenda di Balotelli ne è emblematica: “ un nero alla nazionale, viene fischiato, perché gli italiani non sono neri!” Invece bisogna incominciare ad insegnare ai nostri bambini che vi sono delle persone diversi da noi che sono anche loro italiani e l’Italia è la loro patria, la patria multietnica ormai. Io al pari di Balotelli, ho avuto gli stessi problemi per affermarmi all’Università italiana, non solo perché è in mano ai baroni che mandano avanti i loro beniamini, falsando i concorsi pubblici- e qui mi appello al presidente Monti affinché metta fine a queste ingiustizie-  ma anche perché e credetemi, non è facile farlo…certi posti sono riservati a certi nomi. Vi lascio immaginare.



Ma passiamo alla tua produzione artistica e letteraria. Cosa ti ha spinto a intraprendere la carriera di poeta e scrittore?
RISPOSTA:
Amo la poesia, penso sia la mia passione da bambino. L’amore per la scrittura è venuto via via col tempo. Scrivere significa rimuovere pensieri e dare risposte agli interrogativi che assillano la mente. E’ quello che cerco di fare in modo poetico quando scrivo.

Qual è la tua opera più significativa al momento?
RISPOSTA:
Certo, le mie opere più significative e attuali sono “ L’Albergo del popolo” e la mia nuova raccolta di poesia  La Rinascita”, edite entrambi da Libellula Edizioni. Sono entrambi disponibili on line presso la stessa casa Editrice.


Parliamo ora dell'opera a cui tengo maggiormente: "L'albergo del popolo" (Libellula Edizioni) uscito nel 2012. Parli della storia di Said, un nome immaginario, ma anche un protagonista che ti rispecchia in pieno, poiché tu racconti la tua storia in questo libro.
RISPOSTA:
Said o Hamid? Chi lo sa? Come ho detto scrivo per rimuovere pensieri, alla ricerca della verità, o direi usando le parole di Marcel Proust, alla ricerca di un tempo perduto, un tempo amato, andato via con tutte le sue emozioni, il suo vissuto intenso, i suoi personaggi, i suoi odori, profumi, ebbrezze i suoi luoghi…, e i luoghi della memoria sono come i santuari dell’animo. Le storie dei miei personaggi sono degli estuari che ti toccano  per sempre con la loro intensità emotiva.



Qual è stata la soddisfazione maggiore ricevuta in Italia e quale, invece, la maggiore delusione?
RISPOSTA:
Mi sento una persona integrata a tutti gli effetti…Mi sono sposato con una ragazza romana e ho una figlia meravigliosa; penso, oltre ai miei diplomi, siano la cosa migliore che ho potuto raggiungere. Quanto alla più grande delusione che abbia avuto in Italia, penso sia proprio relativa al mio inserimento in una Università privata, come professore di lingua araba e di Storia e cultura dei paesi arabi, abbastanza famosa a Roma, di nome Luspio ( PIO V). Dopo che il consiglio d’ateneo ha approvato il mio CV , qualche mese dopo, vengo a sapere che alcuni docenti “gelosi o invidiosi, comunque di una cattiveria inaudita”, hanno messo contro di me  gli studenti, costringendoli a scrivere al rettore della medesima università una lettera nella quale gli chiedevano di licenziarmi, perché non parlavo, secondo loro, bene arabo. In seguito, vengo a sapere tramite il preside della Facoltà, l’unico a difendermi in quella situazione che l’autore di quella lettera era un certo professore di nazionalità libanese,  “di religione maronita”, e che lo scopo di quel “siluro” era lui stesso, cioè il preside, e non io;  per un motivo sostanziale- direi tipico delle Università italiane- cioè perché il preside della facoltà di lingue, in quanto persona integra, non ha voluto approvare l’inserimento dell’amante del professore libanese, il quale pensava d’essere lui il padrone della lingua araba nell’università, perché protetto dall’allora rettore, nonché dai chi detiene la proprietà dell’università. Ho sottolineato la religione di questo professore, perché questo signore ce l’aveva contro di me, anche perché ero d’origine mussulmana. Diceva che i marocchini non parlano arabo.Vi lascio immaginare la grande delusione che ho avuto  da quest’ambiente così falso, ma vi assicuro che non ho perso nulla. Io ero preparato meglio di tutti quelli che stavano li e che temevano che io prendessi i loro posti, perché ero più bravo di loro. Che posto marcio è l’università italiana, quando è cosi.


Secondo te, per gli immigrati in un Paese come l'Italia, ci sono le premesse per un'integrazione completa come è stata la tua o reputi sia troppo complicato?
RISPOSTA:
L’integrazione in un latro paese è sempre un’impresa difficile. Vi concorrono elementi interni all’immigrato ed esterni. Quegli interni riguardano il livello di adattamento culturale, psicologico, normativo ed economico che l’immigrato riesce ad esprimere. Quegli esterni non dipendono dall’immigrato e pertanto sono legati all’ambiente che lo accoglie e che in definitiva dovrebbe agevolare il suo inserimento nella società, concedendogli lo status di cittadino. Secondo la mia umile esperienza, le persone che ho visto affermarsi ed inserirsi in Italia sono pochi e sono proprio quelli che sono riusciti a trovarsi un lavoro e ad affermarsi sul piano economico. Fatto non ricorrente. Le condizioni esterne rimangono come ostacolo. Vi lascio pensare alla legge Boss/Fini: chi perde il lavoro, deve ritornare a casa sua o vivere e lavorare in clandestinità. Vi lascio immaginare quanti clandestini in Italia, ed in particolare quelli impiegati nell’agricoltura : raccolta del pomodoro e dell’arancio…, sfruttati sotto il sole dai caporali del lavoro.



Cosa sbaglia, secondo te, il governo italiano nel suo comportamento verso gli stranieri?
RISPOSTA:
L’ho appena illustrato poco fa. L’inadeguatezza della legge Bossi/ Fini che va riformata e umanizzata. I centri d’identificazione temporanea sono un altro problema.  I clandestini possono esserci trattenuti fino a diciotto  mesi. E’ una violazione delle convenzioni internazionali e dei diritti dell’uomo. Il governo italiano potrebbe agevolare le famiglie straniere i cui figli sono nati in Italia, dandole sostegno economico e naturalizzazione. Lo ius soli è un passo verso la società democratica e multi-etnica. E’ compito di tutte le forze politiche del nostro paese operare in questo senso. Non deve certamente essere una questione politica-strumentale che viene sbandierata dalla destra o dalla sinistra a seconda della congiuntura politica. Vedi i repubblicani hanno perso in America perché non hanno finora una politica rivolta verso i ceti bassi e i nuovi immigrati statunitensi.



Una domanda impegnativa ora: a chi daresti il Nobel per la Pace?
RISPOSTA:
Forse, forse, e non lo dico scherzando, lo darei ad un uomo che ha dedicato la sua vita alle battaglie civili dell’Italia. Marco Pannella. Devo dire che mi è simpatico e oltretutto non ha mai avuto incarichi governativi. Ho un dolce ricordo di lui di tanti anni…A piazza San Giovanni, a Roma, il partito radicale in una manifestazione memorabile decise di restituire i soldi concessi come finanziamento pubblico ai partiti al popolo. Io ero li a guardare divertito da quello spettacolo. Si distribuivano soldi al popolo, mentre pioveva a dirotto e si sentiva la musica di Mozart. Era un momento magico. Vorrei che tutti i partiti facessero come ha fatto Marco Pannella.


Cosa prevedi per il futuro dell'Italia e per quello del tuo Paese, il Marocco?
RISPOSTA:
Oggi come oggi mi piange il cuore quando vedo gli operai scioperare e alcuni salire sui tetti delle fabbriche o delle torri. E’ un momento buio e triste per L’Italia. E’ compito delle Istituzioni sostenere i più deboli e chi ha perso lavoro. Non si può lasciare la gente nella disperazione. Sarebbe la fine della civiltà. Perciò, realisticamente parlando vedo che il futuro sia difficile, ma ciò non toglie che l’ottimismo, come si suol dire, derivi dalla volontà e dalla capacità di ciascuno a superare le difficoltà. I grandi uomini emergono sempre dalle difficoltà.



Infine, ricordiamo che tu hai anche un bel blog che ti serve da punto di riferimento ed è una piacevole vetrina per parlare di arte, cultura, politica, società all'indirizzo: .

Grazie di tutto!


Tiziana Iaccarino.

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